SINNER, IL CASO OLIMPIADI: DA PECHINO ALL'INCUBO ALCARAZ, LA SOLITUDINE DEL NUMERO 1 (CHE VA SOSTENUTO E NON CRITICATO)

La solitudine del numero 1. È il principale problema che assilla Jannik Sinner da quando il 28 gennaio scorso ha vinto gli Australian Open. Il ragazzo di San Candido era ancora distante dal vertice della classifica mondiale, ma l'inerzia, qualche problema fisico di Alcaraz, il meccanismo degli scarti (domino perverso che condiziona le prestazioni dei tennisti durante la stagione) indicava che di lì a breve il sogno sarebbe diventato realtà. Cosa che si è verificata il 10 giugno. Poi la piccola crisi iniziata al Roland Garros e il ritiro dell'ultimo minuto ai Giochi. Ma cosa sta accadendo davvero sul pianeta Sinner? 

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Sinner, la svolta di Pechino

Si leggono dotte e complicate analisi sullo stato fisico e psicologico del campione, ma la verità - come quasi sempre - è più semplice e rimanda al tennis giocato. Quindi, semplifichiamo. C'è un dato fondamentale, anzi una data: 25 settembre 2023. Quel giorno si gioca la finale di Pechino, sulla carta una partita come tante altre, l'atto finale di un Atp 500. Ma per Jannik è una partita chiave. Dall'altra parte della rete c'è Daniiil Medvedev, ex numero 1 del mondo, da cui ha rimediato sei sconfitte in sei sfide. Un muro. L'italiano quel giorno è implacabile, vince un primo lottatissimo set al tie-break, poi dilaga nel secondo chiuso per 6-2. E' la vittoria che gli serve, quella che gli dà finalmente consapevolezza. Non è un caso se proprio contro Medvedev qualche mese dopo Sinner vincerà il primo Slam in Australia. Tra i due match, le imprese splendide contro Djokovic alle Atp Finals, il trionfo Davis, un crescendo insomma continuo.

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Sinner, sei mesi da urlo

Il Sinner versione magic dura sei mesi, dal quel 25 settembre al 18 marzo (finale vinta a Miami), quando raccoglie 6.080 degli attuali 9.570 punti Atp. Impressionante, considerando che in mezzo c'è anche la pausa invernale. Sinner dopo tre mesi del 2024 capisce che per il gioco degli scarti diventerà numero 1 e come in quasi tutte le storie di sport di alto livello entra in un'altra dimensione: da segugio diventa lepre, da cacciatore affamato deve imparare l'arte della gestione. E le cose da gestire, per un'azienda individuale, sono tante: le aspettative di un Paese improvvisamente disatratto dai consueti dibattiti su 4-3-3 e 3-5-2, gli inviti a Sanremo, l'amore, la fila degli sponsor, le pressioni dei rivali mai come in questa epoca sporchi e cattivi (Alcaraz, l'eterno Djokovic, Medvedev). E, nel caso di Sinner, purtroppo, anche la gestione di un fisico non proprio granitico.

 

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Sinner, la scalata in classifica

Facciamo un passo indietro. Sinner fa il primo punto Atp il 12 febbraio 2018 a 17 anni battendo a Sharm el-Sheikh lo sconosciuto ndiano Aryan Goveas. Da quel momento è una escalation, l'altoatesino entra tra i top ten a 20 anni, a inizio novembre 2021, direttamente al numero 9. Qui però la corsa si arresta per due anni. Sinner sembra pronto al grande balzo, ma è frenato da problemi fisici e anche dal peso delle responsabilità. In Italia le perplessità sono tante e la semifinale di Wimbledon 2023 (dove peraltro viene liquidato da Djokovic) viene bollata come casuale visto il tabellone a dir poco fatato con nessun top 50 ad incrociarne il cammino. Insomma bisogna attendere agosto per rivederlo tra i top ten, al numero 6. Per questo Pechino è la svolta e consente a Jannik di entrare nel tennis degli eletti. Va detto che il nostro usa bene gli anni dal 2021 al 2023: lavora sul fisico e sui colpi, cambia lo staff tecnico, l'apporto di Vagnozzi e Cahill gli consente di colmare lacune nel gioco di volo e al servizio. Resta, purtroppo, il piccolo handicap di un telaio di base che soffre soprattutto gli sforzi ripetuti.

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La verità sul fisico dalle statistiche del quinto set

Sinner soffre gli sforzi prolungati? La risposta è sì. L'opinione di chi scrive è che due set su tre l'italiano è il più forte tennista al mondo, ma la storia di un campione si fa negli Slam. Qui Jannik ha il non invidiabile bilancio di nove sconfitte in 15 incontri, l'ultimo dei quali - sanguinoso - nei quarti a Wimbledon contro il rivale di sempre Medvedev. Tre settimane prima scenario analogo a Parigi con il ko al quinto da Alcaraz. Il quale, al contrario, mostra torneo dopo torneo una fisicità impressionante. La stessa statistica al quinto parla di 11 vittorie e una sconfitta per il ragazzo nato a El Palmar, in Spagna.

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La solitudine delle lepri

Sinner oggi si trova nella situazione opposta rispetto a dodici mesi fa: da segugio è diventato lepre e tutto questo complica molto la vita di un tennista che non ha le risorse fisiche di un Alcaraz. I prossimi mesi saranno decisivi perché entrambi i giocatori hanno molti punti da scartare (lo spagnolo un migliaio in più sino a fine anno), ma il nostro non può permettersi più un passo falso. Al netto delle tonsilliti e dell'irritazione del Coni, è evidente come Sinner stia centellinando gli impegni per arrivare a fine stagione al top. Al netto di un'Italia sportiva indignata per la rinuncia (forzata o "aggravata" dal suo staff) alle Olimpiadi. Nulla di nuovo rispetto a quanto è successo agli Internazionali di Roma.

Sinner e il "tradimento"

Ma è vero tradimento?  Per fare un raffronto con il calcio, nessuno si scandalizza se Maradona o Cristiano Ronaldo non hanno mai partecipato alle Olimpiadi. Non è nemmeno un tema di discussione. Il calcio ha le sue regole, la liturgia di scudetto, Champions e Mondiali. I Giochi semplicemente non esistono e infatti esiste un regolamento ad hoc. Il tennis, che entra nel programma solo a Seul 1988, sta alle Olimpiadi come i cavoli a merenda. Basta guardare l'albo d'oro del singolare, salvato da Nadal a Agassi ma con i nomi dello svizzero Marc Rosset e del cileno Nicolas Massu, non proprio delle superstar. L'ultima finale - Tokyo 2020 - ha messo di fronte Zverev e Kachanov.

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Il tennis, sport individuale

L'ultimo aspetto che va raccontato per comprendere le scelte di Sinner è l'individualità sempre più spiccata del tennis. In Italia ricordiamo con grande nostalgia le trasferte dell'Italdavis in Australia negli anni 70 e 80 e la battaglia di Maceiò contro i brasiliani, così come Gaudenzi che nel 2002 sacrificò una spalla in finale a Milano contro la Svezia. Ma quel mondo non esiste più, la Davis ha cambiato formula nel 2019 viste le defezioni dei campioni, indisponibili a estenuanti trasferte e incontri al meglio del quinto set. Lo sport delle racchette in questi anni si è sempre più individualizzato e il concetto di squadra è diventato laterale. Federer vince la Davis nell'unica volta in cui si impegna seriamente, ovvero nel 2014. Ma nessuno in Patria lo accusava di alto tradimento. Molto meglio vederlo disegnare tennis a Wimbldeon. L'azienda Sinner oggi va gestita con cautela. Alcaraz è un avversario straripante per carattere e fisicità, la programmazione va gestita al meglio. Jannik sta già preparando Cincinnati dove vuole arrivare al meglio. Il rischio è l'opposto, forse: che questa eccessiva prudenza finisca per togliere al nostro quella spontaneità, quel furore misto a incoscienza ammirato dodici mesi fa. Spiegazioni diverse del calo di Jannik, vedi il tuffo in piscina con la Kalinskaya (fa caldo anche per tennisti), fanno sinceramente sorridere. Chi parla oggi di alto tradimento farebbe bene a riflettere su quanto è raro avere in casa il numero 1 dello sport più competitivo al mondo. E un campione così va sostenuto nella sua solitudine, non criticato.

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